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EUGENIO MONTALE

La vita

Eugenio Montale nasce a Genova nel 1896 da un’agiata famiglia borghese. Trascorre la sua infanzia e adolescenza tra la città natale e Monterosso. Frequenta inizialmente scuole tecniche, studia anche musica e canto, ma ben presto si dedicherà alla poesia e letteratura. Entra in guerra nel 1917 come ufficiale di fanteria. Tornato a Genova dopo la guerra, frequenta gli ambienti letterari e conosce Italo Svevo, di cui apprezza l’opera e lo stile. 

Nel 1925 pubblica la sua prima raccolta di poesie, "Ossi di seppia", e si trasferisce a Firenze, dove collabora a importanti riviste letterarie. Nel 1929 diventa direttore della biblioteca del “Gabinetto Vieusseux” di Firenze, ma nel 1938 perde il posto per il suo impegno antifascista. Dopo la guerra, si dedica al giornalismo, collaborando al "Corriere della Sera", e nel 1967 è nominato, per i suoi meriti letterari, senatore a vita. Nel 1975 riceve il premio Nobel per la letteratura. Muore nel 1981 a Milano.

 

La poesia per Montale esprime il male di vivere, rappresentato dal paesaggio aspro e arido ligure, e attraverso gli stessi oggetti nei quali la vita sembra impietrita. Egli utilizza uno stile linguistico essenziale, mescolando termini della lingua parlata ad altri di uso poetico. 

Le opere

“Ossi di seppia”, è la sua prima raccolta di poesie, pubblicata nel 1925. Ha come tema centrale il male di vivere e comprende più di sessanta componimenti. Il titolo dell’opera presenta una figura retorica: “Ossi di seppia” indica la cartilagine dei molluschi che galleggiano sul mare o che vengono sbattuti sulla spiaggia. Questa indica un’allegoria: come l’osso di seppia è gettato sulla terra, così il poeta è esiliato dal mare (cioè la felicità e la natura).

“Le occasioni” è la seconda raccolta poetica di Montale, pubblicata da Einaudi nel 1939. Essa comprende la produzione poetica dell’autore tra il 1928 e il 1939. Il titolo si riferisce alle situazioni dalle quali scatta la memoria di persone ed eventi.

Da ricordare sono anche “La bufera e altro” (1956), la sua terza raccolta di poesie risalenti agli anni della guerra e all’immediato dopoguerra, e un volume di prosa: “Farfalla di Dinard”.

La danzatrice stanca

Questa poesia venne scritta da Eugenio Montale per Carla Fracci, per la quale provò subito un forte sentimento di ammirazione, quando era critico musicale per il Corriere della Sera e frequentava la Scala di Milano per recensire opere e balletti. La frequentazione assidua della Scala gli permise di assistere ai progressi di Carla Fracci prima come ballerina di fila e poi come protagonista della scena internazionale, stringendo con lei un legame di intensa amicizia.

La ballerina viene descritta dal poeta come una figura leggera che torna a ballare dopo essere diventata madre. All'inizio la presenta quasi come un'ammalata che si sta ristabilendo, ma con ciò Montale vuole sottolineare che la donna, appena sarà di nuovo in forma e tornerà a ballare, non sarà più una creatura celeste bensì terrestre, eppure sempre speciale, perché tutti si accorgeranno che è tornata visto che, senza di lei, i balletti sembrano sfilate di morti.

Testo

1. Torna a fiorir la rosa

2. che pur dianzi languia…

3. dianzi? Vuol dire dapprima, poco fa.

4. e quando mai può dirsi per stagioni

5. che s’incastrano l’una nell’altra, amorfe?

6. ma si parla della rifioritura

7. d’una convalescente, di una guancia

8. meno pallente ove non sia muffito

9. l’aggettivo, del più vivido accendersi

10. dell’occhio, anzi del guardo.

11. è questo il solo fiore che rimane

12. con qualche merto d’un tuo dulcamara.

13. a te bastano i piedi sulla bilancia

14. per misurare i pochi milligrammi

15. che i già defunti turni stagionali

16. non seppero sottrarti. Poi potrai

17. rimettere le ali non più nubecola

18. celeste ma terrestre e non è detto

19. che il cielo se ne accorga. basta che uno

20. stupisca che il tuo fiore si rincarna

21. si meraviglia. non è di tutti i giorni

22. in questi nivei défilés di morte. 

Parafrasi

1. Torna a fiorire la rosa

2. che prima (dianzi) sembrava un po' appassita.

3. Dianzi? vuol dire prima, poco fa.

4. Ma si può usare la parola "poco fa" per periodi tutti uguali,

5. amorfi, che si susseguono monotoni?

6. Io sto parlando del rifiorire

7. di una convalescente, di una guancia

8. un po' più colorita, un po' meno pallida, se posso usare una parola vecchia e che sa di muffa,

9. di un occhio più vispo e vivace,

10. anzi di uno sguardo più acceso.

11. E' questo il solo fiore che resta,

12. grazie a un tuo elisir d'amore. (Dulcamara è uno “stregone” che compare nell'opera di Donizzetti "Elisir d'amore")  

13. A te basta salire sulla bilancia

14. per renderti conto di essere tornata in forma,

15. sottile e leggera come quando danzavi

16. Poi potrai 

17. ricominciare a volare non più come una nuvola

18. del cielo, ma come una creatura terrestre e non è detto

19. che il cielo se ne accorga. Basta che qualcuno

20. si stupisca del fatto che il tuo fiore sboccia di nuovo,

21. si riapre. Non è una cosa da poco in questo periodo

22. in cui i balletti sembrano sfilate di morte.

Opere
La danzatrice stanca
Figure retoriche
Vita
Testo e Parafrasi

Figure retoriche

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